Writer, she is born in Rome on 10 April 1892; illegitimate child, she lives until 18 years old in Treia with her old uncles, a cultured and eclectic priest whom lives with her unmarried sister.
She studies in the prestigious college “Salesiano della Visitazione”, and she graduates herself in Rome in Education. She teaches Literature in the Marche (in San Ginesio and Macerata), in Tuscany (San Sepolcro) and finally in Rome, where she goes to life definitely.
She gains awards as journalist, but critics and public “discover” her as a writer in 1980, when at the age of 87, is published her masterpiece: the autobiographical novel “Giù la piazza non c’è nessuno” edited by Natalia Ginzburg.
To know this great writer of XX century, besides the novel settled in Treia, it is possible to read the tale “Scottature” and the anthology “Sogni” (edited Quodlibet) and also “Campane a San Giocondo” (Avagliano).
Dolores Prato dies on 13 July 1983 in Anzio. The major part of her works are conserved in Firenze, in the contemporary archive G.P. Vieusseux.
A portrait of Treia throughout emotions and careful descriptions, almost photographic, of the writer:
"Io la chiamerò paese, ma è città. La restituì alla dignità civica un papa che ne riscosse un monumento librato nell'aria; in bronzo il suo ritratto a mezzo busto; il resto pietra, slancio luce; sta alto nello spazio come un gigantesco ostensorio e per fondo non potrà avere che il cielo.
Nello stemma la città era rappresentata da tre monticelli appoggiati fianco a fianco come per esprimere unità nella trinità; due fiori spuntavano tra loro, gigli o rosolacci; li vidi in atteggiamenti diversi: pudichi, o sfacciati; le tre gobbe sostenitrici del paese non le distinsi mai.
Roma e Treja hanno in comune il mistero del nome. Roma nome maschera quello che nascondeva il suo vero; come non sapremo mai quale fu questo nome, così non sapremo mai quale nume stravolto, o mascherato, dette il nome a Treia... Da un irrecuperabile mistero nacque Treja le cui lettere furono sempre su per giù quelle della terra. Treia deriva da Traiano? No, da Trea, però lo mette in dubbio quella j lunga che e 'è sempre stata e che è stata graficamente cancellata; ma provare a dire Tre-i-a con la i piccina, non è più lei... Treia ha frantumato la sua storia ed i frantumi mandano echi spezzati, echi lunghissimi non esistono. Frantumi di lapidi nel paese e nella campagna: un firmamento di frantumi lapidari dove si vaga come si vagherebbe fra la Via Lattea.
I frammenti più grossi li adoperò per materiale da costruzione; ci fece anche gli scalini per salire super la torre campanaria del Duomo ".
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato
“GIÚ LA PIAZZA NON C’È NESSUNO”: AN EMBLEMATIC TITLE
“Perché ero sola, perché non avevo quello che avevano gli altri bambini certi episodi diventavano cippi miliari di una strada deserta; si dilatavano proprio perché intorno avevano il deserto.
Forse proprio per questa mia solitudine m’incantavo avanti a tutto, anche a un ombrello …
La solitudine mi dava le meraviglie, le meraviglie cancellavano la solitudine …
Mai m’era capitato che qualcuno mi mettesse a cavalcioni sulle sue ginocchia e ridesse e scherzasse con me. Non sapevo neppure che agli altri ragazzini potesse capitare di stare sulle ginocchia di qualcuno come su un cavallo a dondolo. “Staccia minaccia”... mi buttava giù, mi tirava su, mi ributtava giù, più mi buttava e più godevo.
“Staccia minaccia, buttiamola giù la piazza”...; cominciava così, non so come continuasse, ma finiva con un “giù” lungo e profondo, atroce e dolcissimo che mi capovolgeva. Emozione e felicità. Il pavimento era la piazza, io il brivido della caduta.
Non l’ho imparata la filastrocca; quando tentavo di ricostruirla, arrivata a “giù la piazza”, attimi d’inutile attesa, poi il pensiero come se parlasse, diceva “Giù la piazza non c’è nessuno”. Anche adesso se, nel tentativo di far risorgere il resto, cantileno “Staccia minaccia, buttiamola giù la piazza” e sforzo una resurrezione che non avviene, di per sé arriva: Giù la piazza non c’è nessuno”.
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato
“LA CASA DEL BENEFICIO”
“Il luogo dove si ebbero i primi avvertimenti della vita diventa noi stessi”
Treja is neither only the village of childhood ( A Pope gives back the dignity of a City) nor metaphor of memory, Treja is the sign that Dolores has in herself, it is the “terra del cuore e del sogno”.
“La Casa del Beneficio” for Dolores is an indipendent world, that isolates herself throughout a door that “era tutto, proprietà, divisione, unità, intimità; se avessi visto che un altro lo apriva o lo chiudeva, la casa non sarebbe stata nostra.”
The door of “Casa del beneficio” separates her childhood from the one of the other children, from the hostility and the indifference of the village, of which she has anyway some sad proofs when she goes out with her aunt for the visits or when she participates to religious events.
Inside the house there is a world of rooms for her, on different floors: the guest room where a big mirror reflected her image; the shadows and the lights of the entry, the dining room where is the table “of her birth”, on which is a mysterious opaque porcelain lamp; the work room of the aunt, the bed room and the boudoir that reminds the chaos, colors, clothes, cloths and the chest room “un camerone per il convegno dei bauli ed era così bello così comodo, con tutto quello spazio e tutta quella luce, trarne fuori le cose”. Finally, the two rooms of the uncle, the office and the bedroom: “un universo più vario dell’universo dove ci sono tante stelle, ma solo stelle, non tutto quello che c’era lì, dalla rosa di Gerico alle carte del diavolo.”
“Noi cominciamo ad essere col primo ricordo che riponiamo in magazzino. Il luogo dove si ebbero i primi avvertimenti della vita diventa noi stessi. Treja fu il mio spazio, il panorama che la circonda la mia visione: terra del cuore e del sogno...
Roma e Treja hanno in comune il mistero del nome … Da un irrecuperabile mistero nacque Treja le cui lettere furono sempre su per giù quelle della terra …
I semi che nei negozi “Piante e sementi” stanno racchiusi in sacchettini di carta, sono piccole bombe vitali che per esplodere hanno bisogno di essere sepolte. Noi come loro, loro come noi. Io fui sepolta nel terremotato ventre di mia madre, di lì trapiantata in agro romano; messa a dimora a Treja nella casa del Beneficio dove continuò l’inconscia mia crescita.... Io non appartenevo a Treja, Treja apparteneva a me; essa non mi aveva chiamata, non gradiva la mia presenza per le sue strade, nelle sue chiese: lo vedevo benissimo e anche questo apparteneva a me … Ci stetti poco, l’infanzia, l’età delle carezze; non me ne fece, io non le appartenevo, essa apparteneva a me: a mia insaputa me la portai via...”.
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato