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Santa Maria del Suffragio, in stile neoclassico con il caratteristico campanile a pianta triangolare, fu costruita con il contributo dei fedeli. Carlo Casinelli donò le due case sulla cui area fu costruita la chiesa benedetta per ordine del Vescovo di Camerino il 26 aprile 1716 dall'Arciprete Carlo Francesco Aquaticci. Esisteva già in Treia la Compagnia del Suffragio, eretta fin dal 1696 nella Chiesa Collegiata. Nel 1698 era stata aggregata all'Arciconfraternita di S. Maria del Suffragio di Roma, come risulta dal breve di aggregazione in pergamena sottoscritto dal Cardinale Pietro Ottoboni, vicecancelliere di S. Romana Chiesa e Protettore dell'Arciconfraternita, sotto il pontificato di Innocenzo XII.
Sull'Altare Maggiore è collocato un quadro dipinto su tela raffigurante la Beata Vergine con il Bambino Gesù in grembo; a lato si vedono San Carlo Borromeo, alcuni Angeli ed un uomo vestito dell'abito della compagnia raffigurante il benefattore Carlo Casinelli che regge in mano un vaso da cui versa acqua sopra le anime purganti. Sull'altare di destra è collocato un quadro della Madonna con Bambino in grembo ornato da una bella cornice in legno dorato. Nelle due cappelle vicino all'ingresso, sono collocati a sinistra un quadro raffigurante la Resurrezione di Lazzaro, a destra il Miracolo di Gesù alla defunta di Naim.
«Il Suffragio era una sola larga navata. Le sedie fisse stavano in fila da una parte e dall'altra, davanti a due altri banchi da chiesa appoggiati alle due pareti, anche loro col pavimento di legno sotto e l'inginocchiatoio davanti, tutto chiuso... Anche le sedie senza pavimento avevano il loro posto ma non così rigidamente fisso come quello. Alcune erano ingegnose...bisognava mettersi in ginocchio, la signora si alzava, tirava la seggiola avanti a sè con la spalliera verso l'altare, sollevava il piano della sedia ed ecco pronta un'asse imbottita che faceva da inginocchiatoio...le seggiole senza sorpresa le donne se le tiravano davanti a rovescio, le piegavano un poco, ci appoggiavano le ginocchia flettendoci appena... era un far finta di stare in ginocchio».
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato