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LA STORIA
Appignano è da secoli conosciuto nel territorio come il paese della ceramica e della terracotta.
Risalendo all’effettiva veridicità di questa affermazione, si scopre come la lavorazione della terracotta nel nostro paese difficilmente ha superato il livello della semplice utensileria domestica, eppure questo è stato sufficiente a lasciare tale fama nei paesi limitrofi, forse perché perseguendo una strada del progresso più lentamente che in altri luoghi, gli artigiani di Appignano hanno mantenuto e in alcuni casi tutt’ora mantengono tecniche di lavorazione manuale altrove scomparse. In luoghi dove plastica e alluminio hanno sostituito del tutto la terracotta, possedere tali oggetti era diventato desueto, mentre ora sta tornando quasi di moda.
Quando Pasqualino Mariani da Caldarola arrivò ad Appignano, nel dicembre 1557, il paese contava poco più di settecento anime e la vita scorreva principalmente nei campi. L’uomo chiese ed ottenne in prestito tre scudi dai Priori comunali per avviare in loco la sua attività: fu il primo vasaio, di cui si ha notizia certa, a far girar sul tornio la terra circostante che ben si prestava alla produzione di terrecotte per la sua spiccata duttilità. Nel tempo il numero dei vasai crebbe con naturalezza. La terra abbondante, la facilità di reperirla e la richiesta di suppellettili fondamentali nelle case di tutti favorirono un lavoro alternativo a quello
agricolo e una risposta all’estrema miseria in cui si viveva. Nel paese dei coccià, come da sempre sono chiamati i vasai di Appignano, si apprendeva a far le còcce fin da piccoli.
I bambini imparavano a realizzare le coccette, i manufatti in miniatura delle stoviglie di uso quotidiano, quelle stesse che la scrittrice marchigiana Dolores Prato ha immortalato in “Giù la piazza non c’è nessuno”.
Per tutto l’anno, il vasaio non si fermava mai, se non per brevi periodi, quelli imposti più dalle
stagioni che dalla fatica. C’era sempre bisogno di brocche per l’acqua, di orci per l’olio, di pigne per il formaggio, di piatti, tegami, bicchieri, per non parlare degli scaldini per le mani e per il letto a contrastare i rigori invernali. E non si fermò neanche quando il progresso nel secondo dopoguerra bussò bruscamente alle porte della sua bottega vestito di plastica e d’alluminio e i clienti lo preferirono perché più resistente alle muffe e alle spaccature.
Certo i ritmi rallentarono, ma la produzione non cessò mai completamente ed è riuscita a sopravvivere fino ai giorni nostri, anche se in forme diverse, grazie alla caparbietà di alcuni venerandi maestri vasai.
LA COLLEZIONE
All’interno del Palazzo comunale la Collezione di cui fanno parte circa 160 manufatti in ceramica, un tornio, e 16 pannelli fotografici con foto d’epoca, è dislocata lungo i tre piani dello stabile, nelle zone cosiddette comuni e nei vani antistanti la Sala Consiliare e la Sala Eventi.
I pannelli fotografici, realizzati in pvc di dimensioni 70x100, rappresentano un ideale percorso iconografico e storico, e sono posti lungo le scale: il tema della lavorazione dell’argilla è declinato secondo differenti percorsi. Vi sono le immagini delle tecniche di lavorazione, immagini storiche del paese e i immagini dei vasai più conosciuti del ‘900 appignanese al lavoro nelle loro botteghe.
I manufatti sono esposti in vetrine espositive di varie dimensioni di vetro temperato. Essi non sono “antichi” ma essendo sempre gli stessi realizzati e decorati nella medesima maniera da centinaia di anni, rappresentano idealmente tutti quelli realizzati nel paese fino ai giorni nostri.
Sono suddivisi innanzitutto in terrecotte e ceramiche artistiche, e il primo gruppo è poi organizzato secondo la destinazione d’uso per la quale sono state create.