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Treia Monastero della Visitazione

Nel Monastero della Visitazione era attivo un prestigioso educandato, presso cui compivano i loro studi ragazze delle migliori famiglie italiane.
Molti i cognomi dai titoli altisonanti che echeggiavano nei corridoi: appena arrivata, come da consuetudine, Dolores Prato viene affidata ad una ragazza più grande: è Antonietta Manzoni, nipote di Alessandro Manzoni.
Dolores, che annoverava tra quelli di famiglia i titoli di conte con i Duranti, i Bosdari e gli Sciava, di marchese con i Torelli nonché i Castracane dello storico Castruccio), non sfigurava se non per l’essere illegittima.
Vista la famiglia di provenienza e l’appartenenza dello zio al clero, le suore non poterono rifiutarle l’ingresso, ma la trattarono con distacco, quando non con sprezzo.
Le religiose avevano il compito di preparare delle signore per l’ingresso nella buona società, più che di formarle scolasticamente: si studiava francese e musica, ci si dedicava al ricamo e cucito, si leggevano testi religiosi e anche laici di impronta massonica (per assecondare una passione della suora Maestra, detta Madrina), ma non c’era vera apertura culturale.
Quando Dolores entra in collegio, grazie alla biblioteca domestica ed alla sua naturale curiosità intellettuale, alimentata e sostenuta dallo zio, mostra subito una preparazione estremamente superiore a quella delle compagne.
Il collegio avrà sulla sua formazione emotiva un impatto devastante. Timorosa, insicura, decisa a farsi accettare ad ogni costo, svilupperà qui quella devozione ossessiva che, oltre che per la Madrina e per i suoi padri spirituali, mostrerà in un certo senso anche nei confronti dei suoi amori.
Dolores Prato vive fino ai diciotto anni a Treia con gli zii Domenico e Paolina Ciaramponi, i quali dopo le scuole elementari decidono che il proseguimento della sua educazione debba compiersi nel collegio e scelgono quello delle suore della Visitazione nel Monastero di Santa Chiara, sempre a Treia. Il suo soggiorno nel Monastero della Visitazione segna il passaggio dalla “puerizia” all’adolescenza.

 

“Cosa nuova fu l’ora di ricreazione, più corta quella dopo pranzo, più lunga quella dopo cena.
Non avevo mai conosciuto quella parola; alle scuole comunali si entrava per la lezione, se ne usciva per tornare a casa. E a casa, in quella del beneficio giocavo o facevo i compiti quando mi pareva; idem nella casa Gentilizia e poi lì oramai mi divertivo più a leggere che a giocare. Forse era una ricreazione scendere nell’orto, ma anche lì ci andavo quando ne avevo voglia, ci stavo quel che mi pareva e il più grande divertimento era uscire dalla porticina, andare dai cordari e girare la ruota facendo riposare la vecchietta.
Questa era la vera ricreazione, ma non si chiamava così e non aveva ore fisse.
Uscita di collegio imparai che la vera ricreazione è il riposo, me lo spiegò Vittore Pansini. […] “Non buttar via un vestito di lana anche se è talmente liso che non puoi più portarlo, riponilo; dopo qualche anno tiralo fuori e guarda, nuovo non è di sicuro, però è meno liso di quando lo riponesti; nel riposo le fibre si sono un poco ricostituite, si sono ricreate”. . […]
In collegio, pur con tutta l’attività che ci buttai, nulla ricreai, tutto consumai. Mi consumai tanto che c’era voluta tutta una vita sbagliata per capirlo. Ero entrata spezzata da prima, poi la freddezza della Madrina mi paralizzava. Non partecipavo ai giochi, li servivo, non li adoperavo. Giravo uno dei capi del grande arco per il salto alla corda di gruppo. Lo giravo con tutto l’impegno, davo un ritmo e una sostenutezza che correggeva la debolezza dell’altra che aspettava solo il cambio e lo reclamava se non era sollecito. A gruppi le altre saltavano a piedi alternati o uniti; io continuavo a girare e mai che la Madrina mi dicesse “Salta anche tu”. Io ero un palo-agente.”

Da “Le Ore” di Dolores Prato

 

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