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La Pinacoteca Comunale di Treia è ospitata nella Sala del Consiglio, nella Sala degli Stemmi e negli altri locali che costituiscono il Piano Nobile del Palazzo di Città. Accoglie una serie di ritratti sette e ottocenteschi degli esponenti più in vista della nobiltà treiese e dipinti di pittori illustri di scuola romana e di scuola veneta quali Pietro Tedeschi (sec. XVIII), Antonio Balestra e Agostino Bonisoli (sec. XVII). La grande tela del Bonisoli che raggiunge le ragguardevoli misure di 6×5 metri, datata 1673, raffigura il martirio dei protomartiri francescani da parte del re del Marocco ed è stata riportata all’originario splendore solo recentemente da un sapiente restauro.
L’arredo è costituito da semplici panche ottocentesche con schienale sagomato, due canterani in legno di noce, un fortepiano in stile impero di origine viennese e un divanetto ottocentesco a due sedute.
I dipinti esposti nelle sale di rappresentanza del palazzo comunale di Treia non rispecchiano che parzialmente gli indirizzi del collezionismo locale; come la maggior parte delle raccolte pubbliche marchigiane, anche quella treiese è costituita infatti principalmente da dipinti di soggetto sacro provenienti da varie istituzioni religiose cittadine, passati in proprietà pubblica in seguito alle soppressioni post-unitarie.
Il ragguardevole insieme di ritratti che riproducono i volti dei più insigni rappresentanti della vita culturale, letteraria e politica della cittadina marchigiana appartenevano invece alle raccolte artistiche dell'antica e prestigiosa Accademia Georgica; come tutti i più importanti sodalizi culturali, anche l'Accademia possedeva una serie di ritratti dei propri membri e di quanti l'avevano beneficiata nel corso dei secoli.
Fra questi ritratti si segnalano per la loro qualità quello del cardinale Grimaldi, generoso benefattore della comunità locale, e le varie versioni del ritratto di Pio VI, il pontefice che concesse a Treia l'ambito titolo di città, al quale è dedicato anche l'aereo tempietto viciano ubicato sulla balconata della piazza cittadina.
Nella sequenza dei ritratti sette-ottocenteschi di prelati romani e di illuminati esponenti del patriziato locale, si contano anche le effigi dei vari pontefici che hanno regnato fra XVIII e XIX secolo, quando alcuni cardinali marchigiani ebbero l'onore di essere elevati al soglio di Pietro; ecco dunque spiegata la presenza del ritratto di Leone XII, di Clemente XIV, pontefice vadese eternato da Canova nel monumento funebre della basilica romana dei Santi Apostoli, e di quelli di Pio VIII, il cingolano Francesco Saverio Castiglioni la cui famiglia contava numerose parentele anche nella vicina Treia. Ma, ovviamente, nel piccolo pantheon georgico non potevano mancare i ritratti di Pio VI, che aveva elevato Treia al rango di città, e di Pio VII del quale una delle effigi ha rivelato, durante il restauro, di essere stata trasformata adattando il precedente abito purpureo cardinalizio in quello candido papale, segno che in tutta fretta, giunta la notizia dell'elezione, si decise di aggiornare l'aspetto del cardinale Chiaramonti.
Che la serie degli uomini illustri conservata a Treia sia il risultato di un'operazione mirata a dare un volto ai grandi treiesi del passato, lo conferma il caso del ritratto del capitano Balduccio Angelini, riprodotto di profilo in armatura entro un ovale recante il suo nome. Il recente intervento di restauro, condotto da Simone Settembri, ha consentito di smascherare un falso storico; infatti, rimuovendo le ridipinture, è stato possibile riconoscere nel condottiero armato il celebre capitano Bartolomeo Colleoni, eternato dal Verrocchio nello splendido monumento equestre dedicatogli dalla Serenissima.
Il volto maschio e deciso del condottiero è inserito entro una complessa decorazione di carattere araldico e militare, costituita da vessilli che recano le insegne delle varie casate per conto delle quali il Colleoni esercitò la sua attività di capitano di ventura. Il biscione visconteo, i gigli angioini garriscono sulle bandiere ricordando le varie imprese militari che ebbero il Colleoni protagonista.
Il ritratto treiese può datarsi all'inizio del XVII secolo e si basa dunque su una più antica effige realizzata quando il condottiero era ancora in vita; la condotta pittorica si avvantaggia di una stesura densa e pastosa del colore, manifestando una grande attenzione per gli effetti di luce che fanno vibrare la lamina metallica degli spallacci; la caratterizzazione del volto, segnato da rughe profonde e da un'incipiente peluria che incupisce le guance, ricorda certe espressioni pittoriche del seicento veneto e in particolare lo stile di Pietro Muttoni (detto della Vecchia), abile creatore di pastiches pittorici che talvolta imitano le opere dei celeberrimi maestri del Rinascimento veneto: anche questa attitudine al falso d'autore può giustificare il suo nome quale supposto autore del ritratto della Pinacoteca di Treia che riproduce un personaggio scomparso ormai da più di un secolo cercando di restituire, anche attraverso una fedele riproduzione dell'armatura di foggia antica, il senso del tempo trascorso.
Fra i dipinti provenienti dalle istituzioni religiose soppresse e dalle altre chiese cittadine, si segnalano due pale d'altare tardo manieristiche, risalenti ai primi anni del Seicento, che rispecchiano il gusto dell'età della controriforma; la prima, caratterizzata da una fotografica attenzione per ogni più banale dettaglio, raffigura l'Immacolata che domina un rigoglioso giardino all'italiana nel quale si notano piante e strutture architettoniche che si riferiscono alle litanie lauretane. L’altro dipinto riproduce la Vergine in trono adorata dai santi Giuseppe e Biagio e dal committente, ritratto con straordinaria efficacia. Nell'una e nell'altra circola la cultura eclettica che caratterizza le opere di Gaspare Gasparini e del suo allievo Giuseppe Bastiani.
Costituisce una rarità per il panorama artistico locale la grande tela del seicentista cremonese Agostino Bonisoli giunta a Treia nel 1793, quando venne acquistata da padre Cipollari in occasione della soppressione della chiesa di San Francesco a Cremona (1777); essa è la prima opera firmata dal Bonisoli che elabora una teatrale composizione di ampio respiro, avvalendosi della familiarità con le opere di Giulio Campi e soprattutto del Genovesino e servendosi di una sobria partitura cromatica in cui il prevalere dei bruni è contrappuntato da poche notazioni di bianco. Dal nord Italia, e specificamente dal vivace contesto pittorico veneziano del primo Settecento, proviene anche la tela raffigurante santa Margherita da Cortona in estasi dovuta al pennello di Antonio Balestra, una cui opera arricchisce anche la Galleria dell'Eneide di Palazzo Buonaccorsi a Macerata; i volti porcellanati degli angeli e della santa sofferente rappresentano una caratteristica dello stile controllato di questo artista sofisticato che ha goduto nel XVIII secolo di un successo internazionale forse superiore ai suoi reali meriti. La silloge delle opere settecentesche del museo si chiude con le due tele di Pietro Tedeschi raffiguranti l'elemosina di San Tommaso da Villanova e il martirio di Santa Lucia, provenienti dalla chiesa degli Agostiniani, ordine con il quale il pittore pesarese ebbe un privilegiato rapporto di committenza. Le calibrate composizioni, la gamma cromatica smaltata, l'attenzione alla resa delle stoffe seriche e dei paramenti broccati in oro ben rappresentano il compassato accademismo con cui il Tedeschi interpreta i modelli del Lazzarini, mostrando un'inclinazione verso lo stile di Pompeo Batoni che certo il Tedeschi aveva conosciuto durante il suo lungo soggiorno romano. Nei vari ambienti del piano nobile del palazzo comunale, i dipinti sono stati esposti secondo i criteri che impostavano le quadrerie antiche; i ritratti sono collocati su più file, dando vita ad una vera e propria galleria di personaggi illustri, per lo più a mezzo busto, secondo una tradizione inaugurata dalla celebre serie gioviana. Avendo a disposizione anche alcuni arredi sette e ottocenteschi, questi sono stati collocati nelle varie sale; un imponente canterano del primo Settecento e vari mobili impero documentano l'attività di ignoti ebanisti locali, attenti a recepire modelli illustri rielaborandoli secondo la propria tecnica: è il caso delle neoclassiche consolles con sostegni in forma di colonna che dimostrano quanto a lungo nelle Marche abbia esercitato il suo influsso la mobilia Impero giunta al seguito dei napoleonidi che si trasferirono nella regione adriatica.
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