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Il Santuario del Santissimo Crocifisso sorge armonioso e solenne a circa un chilometro da Treia, tra il verde della campagna, lungo la strada provinciale per San Lorenzo.
L'origine della chiesa non è nota, ma risale certo ad epoca remotissima. I documenti più antichi sono del XIII secolo e sono conservati negli archivi dell'Accademia Georgica. Nel terzo o quarto secolo Treia ha avuto la sua prima chiesa cristiana. Gli scavi archeologici praticati nel XVIII secolo per interessamento di Fortunato Benigni e, negli anni 1985-88, dall'Istituto di Archeologia dell'Università di Macerata, hanno confermato la plurisecolare tradizione che il primo tempio cristiano, chiamato Pieve, è sorto trasformando un tempio pagano. Il decadere della potenza dell'impero romano segnò anche la distruzione dell'antica Trea.
La Pieve tuttavia non fu mai abbandonata e rimase la principale dell'intero territorio fino alla fine del sec. XIV. Con i primi anni del sec. XV il titolo della chiesa e il suo fonte battesimale furono trasferiti nella nuova Pieve sorta dentro Montecchio. Da questo periodo l'antica Pieve acquistò nuova devozione popolare come Santuario dedicato al SS. Crocifisso. Il complesso architettonico consta di due costruzioni di epoca diversa separate tra loro dalla mole del campanile (alto 41 metri): a sinistra la Chiesa (sec. XX), a destra il Convento (sec. XVII-XVIII).
Nel 1902 un furioso incendio distrusse il vetusto tempio precedente. Nel 1905 iniziarono i lavori per l'attuale Santuario che fu consacrato nel 1925. La facciata fu completata nel 1954, la tribuna marmorea del Crocifisso nel 1961, il coro nel 1990. L'edificio sacro rispecchia l'epoca della sua costruzione: uno stile neorinascimentale arricchito da elementi di stile liberty propri della fine del XIX secolo e l'inizio del XX. Il disegno e la realizzazione generale sono opera dell'architetto romano Cesare Bazzani, coadiuvato dagli artisti Angelo Biscarini, Luigi Bucci, Albino Candoni. La facciata della Chiesa non è l’esecuzione fedele del disegno del Bazzani, tuttavia il suo discepolo, prof. Armando Farabollini di Treia, ha saputo contenere il rifacimento nel carattere e nei limiti dell'illustre progettista. Nella parte frontale i rosoni, gli archetti e i portali sono armonicamente distribuiti e decorati con appropriati ornamenti in terracotta, modellati dallo scultore romano Paladino Orlandini.
La cupola, alta 42 metri, domina tutto l'edificio. Si presenta come un alto tamburo ottagono con quattro trifore. Otto costoloni a tortiglie scandiscono l'incurvarsi delle superfici verso la lanterna, traforata da otto finestroni ad arco. L'abside è a tre navate con volte semisferiche poggianti su otto pilastri, quattro per parte, con capitelli e basamenti riccamente ornati. I motivi decorativi sono composti da: gigli, spine, uva, grano, edera, croci, cordiglio francescano e motti di preghiera alle cinque piaghe del Crocifisso. La cupola luminosa s'appoggia su quattro robusti pilastri; nei pennoni, su fondo in mosaico oro, sono plasmati quattro grandi angeli con le ali spiegate, che poggiano i piedi su meduse simboleggianti le eresie; tra le braccia elevate stringono un libro in cui si leggono le parole: Via, Veritas, Vita, Lux, riferite al Cristo. Tutta la navata centrale converge sulla tribuna marmorea che racchiude il Crocifisso. Appena entrati, dal portone centrale della chiesa, troviamo due colonne in terracotta modellate nel 1906 da Angelo Biscarini di Perugia su disegno dello stesso ingegnere architetto Cesare Bazzani.
Sulle due navate laterali sono disposte sei cappelle. Nella prima cappella di destra, sopra i confessionali, si trova una grande tela d'autore ignoto (sec. XVII) raffigurante i Santi Antonio Abate, Emidio, Biagio, Isidoro. La terza cappella, dono della contessa Marianna Luzi, riproduce la grotta di Lourdes ed è stata terminata nel 1921.
Sulla navata destra, subito dopo l'ingresso, è da notare una statua lignea dorata, di buona fattura (fine XV secolo o inizio XVI secolo), raffigurante San Patrizio, patrono della città.
Nella prima cappella di sinistra, sopra ai confessionali, c'è il quadro di San Pacifico da San Severino Marche, opera del noto pittore Lazzarini di Pesaro (sec. XIX). Sulla sua parete sinistra, quello del Beato Pietro da Treia (riproduzione di Ferruccio Furlani, 1917). La seconda cappella è dedicata a S. Antonio di Padova; nella parete sinistra c'è un quadro del XVIII secolo con i Santi Anna, Maria bambina, Ludovico Re di Francia, Elisabetta d'Ungheria e il Beato Pietro da Treia; nella parte bassa si può notare lo stemma della città. Nella terza cappella è collocata la statua lignea di Sant'Isidoro, opera recente dello scultore Santori di Grottammare. Proseguendo fino in fondo nella navata di sinistra, si arriva alla porta che immette nella cappella di San Francesco, dove due lapidi ricordano i caduti treiesi delle due guerre mondiali.
Dal 1989 qui riposano anche i resti mortali del Padre Ciro Ortolani. Una lapide, sulla destra, ne ricorda i meriti. II medaglione in bronzo è opera del professor Wulman Ricottini.
Dal presbiterio si può passare in sacrestia dove sono sistemati bei mobili placcati in noce e radica di noce della fine del Cinquecento o prima metà del Seicento. Dalla sacrestia si può accedere al chiostro. Il quadrilatero a mattoni, ben luminoso, è stato iniziato nella seconda metà del XVII secolo e portato a termine nella prima metà del XVIII secolo. I Francescani vennero qui nel 1671, come custodi del Santuario, richiesti con molta insistenza da tutta la comunità cittadina, e vi sono rimasti ininterrottamente fino ad oggi.
ARCHEOLOGIA
Vari reperti di epoca romana, ritrovati in tempi diversi, sono stati collocati all’ingresso del convento e sulla parete del campanile. Tra questi, due preziose statue egizie, una statua regale maschile ed una statua femminile di regina, o sacerdotessa, rinvenute durante la demolizione del campanile cinquecentesco. Oggi, al loro posto, ci sono le copie, mentre gli originali si conservano nel Museo Archeologico insieme ad altri, importanti reperti portati alla luce in questa zona.
LA FACCIATA
Sopra il rosone centrale spicca un grande pannello in ceramica con angeli in adorazione dell’agnello, opera del professor Farabollini come pure le lunette in ceramica che decorano i tre portali: San Francesco d'Assisi (a sinistra), Cristo in gloria (al centro), S. Antonio di Padova (a destra).
I salienti laterali della facciata sono ornati con gli stemmi dei capoluoghi di regione; il motivo è ripreso sulle pareti esterne della chiesa, fino all'abside, in cui sono raffigurati gli stemmi di cento città d'Italia.
IL CROCIFISSO
Opera del XV secolo di autore ignoto (alcuni esperti vi vedono l'arte del grande Donatello) è una scultura in legno policromo dalle proporzioni perfette. Il cristo è eretto e non abbandonato, con il capo inclinato a destra ed i piedi sovrapposti, fissati alla croce con un unico chiodo. Misura cm. 180 di altezza e 170 all'apertura delle braccia. Il bellissimo volto del Crocifisso (che la tradizione vuole scolpito da mani angeliche), presenta tre aspetti del martirio del Cristo. Vista dal lato sinistro l'immagine esprime la sofferenza dell'agonia; di fronte il Cristo che si dona; dal lato destro la serenità della morte.
S. SEBASTIANO
Alla destra di chi entra nel santuario, nella seconda cappella, è conservato un pregevole affresco raffigurante San Sebastiano (datato XV secolo) di autore ignoto.
IL CHIOSTRO
E’ stato arricchito, a più riprese, da un interessante ciclo pittorico sulla vita di San Francesco di Assisi; lo stile degli affreschi denota chiaramente l'epoca della composizione, il XVIIIsecolo, come anche la mano di diversi autori.
L'ORGANO
Dal presbiterio si possono osservare le canne dell'organo della ditta Zanin di Codroipo (Udine), costruito con tanta maestria che il famoso collaudatore, Maestro Ulisse Mattey, ebbe ad esclamare: "Sulla terra non esistono opere perfette, salvo l'organo del SS. Crocifisso di Treia". Questo strumento è legato alla memoria del maestro Padre Pietro Carlucci dell' ordine dei Francescani minori, che ne curò la progettazione e più volte vi eseguì memorabili concerti.
IL MOSAICO NEL CONVENTO DEL SS. CROCIFISSO
In anni recenti sono venuti alla luce, nel convento del SS. Crocifisso, due pavimentazioni musive: la prima, a decorazione geometrica, la seconda, che è ben visibile in una delle stanze del convento, presenta un decoro figurato. Ciò che resta di quest’ultima è la metà sinistra di un emblema racchiuso in una doppia cornice nera e parte del mosaico a tessere bianche che lo circondava.
Le figure,su campo bianco e slegate tra loro, sono di tipo naturalistico: in basso a sinistra un alberello con un uccellino tra i rami, in alto un ibis rivolto verso destra e, davanti a questo, parte di un altro elemento floreale. Nella fascia centrale vi è la parte anteriore di un cane nero slanciato in corsa verso sinistra. Il mosaico presenta elementi di policromia; le tessere sono piuttosto piccole (circa 1 cm.) e sono disposte con andamento orizzontale nell'emblema e obliquo nel contorno.
Il trampoliere in alto - un ibis - è l'unico elemento di richiamo certo all'ambiente nilotico e ai culti egizi presentato dal mosaico: esso è nel tipico atteggiamento a testa abbassata, pronto a beccare qualcosa sul terreno, posizione che lo rende simile al geroglifico “gm”. La figura dell'ibis si ritrova sempre nella tipica iconografia nilotica e così nel mosaico del serapeo di Ostia insieme a piante acquatiche: l'ibis fa parte del repertorio delle pitture cosiddette egittizzanti nel filone paesistico, nel quale possiamo vedere anche una figura del tutto simile a quella di Treia. Da quanto sappiamo dagli affreschi di Ercolano, gli ibis venivano allevati all'interno dei templi di culto egizio, dove evidentemente, oltre a costituire un elemento sacro, dovevano concorrere a ricreare l'ambiente, talvolta insieme ad altri tipi di animali rappresentati da sculture.
“Un movimento della strada, una fontanella e si era arrivati ai Zoccolanti. E lì il profondo di Treja, ma io non lo sapevo. Dopo la fontanella ecco nella sua grossa mole il chiesone del Crocefisso. Con chiunque io fossi, quel chiunque faceva una piccola sosta e guardandolo diceva: "È del Bazzani".
A me non importava di chi fosse, a me pareva che fosse cosa da città, non da campagna... Una volta dentro un cenno a un frate, quello accendeva delle luci, tirava un velo e si vedeva Gesù, in croce colorato come se fosse vero. Noi si stava già alla sua sinistra a guardargli gli occhi Sì, sì, sono aperti, spalancati proprio no, ma socchiusi, però è vivo. Passavamo a guardargli gli occhi di fronte. Sono tanto tanto socchiusi tra le palpebre c'è una fessurina come un rigo di penna; agonizza. Passavamo a destra, gli occhi erano chiusi, è morto. Quel gioco miracoloso mi interessava, ma passava presto, quello per cui avrei voluto restare in chiesa tutto il tempo che volevo, erano gli stendardi. I monti rendevano omaggio al Crocefisso, su ogni stendardo la sua figura e il suo nome... Non m'incontrai mai né col Monte Bianco, né con quello Rosa che pure incontravo a scuola sulle Alpi. Probabilmente quelli degli stendardi erano monti di quelle parti, monti conoscenti del Crocefisso...
Lo zio andava spesso "a Fraticelli", così lui diceva... si creò in me un' idea vaga come se quei luoghi fossero stati nei secoli passati, naturale rifugio per santi ribelli, per santi fuori legge. Quel pezzo di Marca dov'è Treja fu ospitale per i Fraticelli che, tutto sommato, erano frati a double face: per alcuni eretici, per altri santi.
A Macerata e nelle terre vicine, lo spirito francescano aveva attecchito puro e cresceva senza innesti; erano terre per Fraticelli. I Fraticelli di Treja, eremiti del Clareno, stavano in luoghi appartati, vestiti poveramente, più poveramente vivevano; vivevano con la fede nella fede di Gioacchino da Fiore; erano tutti spirituali; volevano riportare il francescanesimo alla primitiva letizia. La curiosa denominazione restava da secoli a testimoniare la vitalità che ebbero a Treja i Fraticelli. Mio zio non aveva certo lo spirito dei Fraticelli, ma il loro carattere sereno e lieto sì. Che una bambina sentisse quanta ragione aveva la gente che per quello lo ammirava, di quello parlava, è segno che la sua serena letizia era veramente fenomenale... Del resto anche lui era fatto come tutti di tanti cartoccetti come le dalie. Nel suo fondo, nel centro del fiore, c'era anche un lieto Spirituale: per pochi soldi, per un pugno di grano, andava cosi contento a elemosinare”.
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato