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Tutto l'agglomerato urbano posto a sud della lunga cresta su cui si snoda la Città ebbe senz'altro come punto di riferimento il Castello dell'Onglavina (che prende il nome da una principessa longobarda), cui fu annessa una chiesina (poi ricostruita totalmente intorno al 1357) dedicata a San Michele, protettore del popolo longobardo. Del castello, avanzo ben conservato e successivamente più volte ristrutturato, resta la Torre o Rocca dell'Onglavina comunemente detta di San Marco. Essa rappresenta l'emblema della Montecchio medioevale ed è considerata il simbolo della Città. Esagonale, divisa in tre piani, disponeva di un quarto livello di fuoco nella soprastante battagliera a cielo aperto, circondata dal parapetto merlato. Le travature che sostenevano i tre piani sottostanti sono ancora esistenti. Ogni piano disponeva di una o più feritoie per il tiro ed il terzo piano di una finestrella osservatorio.
"… all'uscita da Ojolina, da quel sommosso slargo puntava per l'estrema, ardita, meravigliosa impennata della roccia che, spezzando di colpo il paese, protendeva al cielo il torrione di San Marco.
Fuori c'era uno spazio erboso sotto al torrione: una prua da cui si vedevano solo lontananze. Tra il torrione e lo spazio erboso si congiungevano le Mura. Si diceva così, ma mura non erano, erano strada: una strada bianca che girandogli attorno, conteneva il paese: le Mura di ponente e quelle di levante; ci si affacciava il dietro delle case e gli orti sui terrapieni... Non seppi mai che Treja fosse una città murata; che le Mura si chiamassero cosi perché giravano all'esterno dell'antica muraglia. Eppure qualche mozzicone lo vedevo, ma era un pezzetto di paese fatto a quel modo, non era un superstite; alcune case sorgevano come vegetazione muraria su qualcosa che poteva essere roccia o anche resti di muri amalgamati con i secoli Non supponevo il fascino delle rovine. La Torre di San Marco, per quanto mezzo diroccata, per me non era una rovina, era, dopo la Piazza, la cosa più bella del paese …"
Da “Giù la piazza non c’è nessuno” di Dolores Prato