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Treia Chiesa di San Filippo

A lato della maestosa Piazza della Repubblica, nel XVIII secolo i Filippini innalzarono una chiesa dedicata a San Filippo Neri. Il tempio, iniziato nel 1766 e ultimato nel 1773, è stato edificato nello stesso luogo dove sorgeva la chiesa di S. Antonio Abate, demolita nel 1366. Si interessò della ricostruzione il treiese Padre Carlo Fortunati che, per rendere l’edificio più ampio del precedente, chiese ed ottenne l’utilizzo di parte della Piazza del Cassero.
Il progetto della chiesa, dell’oratorio e del convento adiacente venne redatto dall’architetto lombardo Carlo Augustoni, mentre la facciata venne disegnata dall’architetto Giovanni Antinori.
Il tempio iniziò ad essere officiato il 26 maggio 1778, giorno della festa di San Filippo Neri, che già nell'anno 1626 figurava tra i patroni di Montecchio.
Il cardinale Grimaldi procurò alla chiesa quelli che un tempo erano beni preziosi: i corpi di quattro martiri cristiani, morti durante le prime persecuzioni: Aurelio, Valentino, Castoria, Venusta, importati direttamente dalle catacombe e posti sotto gli altari laterali.
A spese della Congregazione furono poste, nelle nicchie alle pareti, otto statue che rappresentano i quattro evangelisti e i quattro maggiori dottori della chiesa latina, opere dello scultore romano Gioacchino Varlè.
Interessante anche il quadro della Madonna, posto nel primo altare a destra, opera di Prospero Mallarmino.
Nel secondo altare di sinistra è collocata la statua di San Patrizio, patrono di Treia e vescovo di Iberna, in Manda. Si racconta che i canonici, volendo scegliere per la città un santo protettore, estrassero a sorte proprio San Patrizio, per tre volte consecutive.
L’opera d’arte più pregevole conservata all’interno della chiesa è un Crocifisso ligneo del XV secolo, proveniente dalla chiesa di San Marco (che un tempo si ergeva nella zona dell'Onglavina), raffigurante il “Cristo della pioggia”; la leggenda narra che l’autore del dipinto sia stato un viandante di nome Romeo, ospitato da una famiglia che dimorava in contrada San Marco.
L'attigua "Casa" filippina venne espropriata prima dai napoleonici e successivamente dallo stato unitario ed oggi è adibita ad uffici.

 

CROCIFISSO LIGNEO - Pittore marchigiano; seconda metà del XV secolo

Iscrizioni: INRI.
Iconografia: sulla croce dalla sagoma arcaica è dipinto "Cristo patiens", il volto è incorniciato da una folta barba e altrettanti fluenti capelli, bagnati dai rivoli di sangue che sgorgano dalla corona di spine posta sul capo. All'estremità della tavola verticale è raffigurato il pellicano in atto di nutrire i propri figli, al di sotto del nido si può notare il serpente attorcigliato all'albero della croce. Tempera su tavola, cm 240 x 163.
Le poche notizie conosciute, tramandate per lo più verbalmente, ricordano la provenienza del Crocifisso dalla chiesa di San Marco, che distrutta nel secolo XVII, portò alla nuova collocazione dell'opera presso la chiesa di San Filippo. Oggetto di grande venerazione e ritenuta miracolosa, come la maggior parte di certe icone nel culto popolare e nel contesto religioso di un certo periodo (si veda anche molta della produzione statuaria), l'immagine attraversava periodicamente, in solenne processione, le vie della cittadina, affinché propiziasse l'avvento della pioggia. Causa questa del sicuro veloce degrado del tessuto pittorico e il conseguente destino, anche per il Cristo della Pioggia, come per la maggior parte delle opere assoggettate ad identica sorte, di essere sottoposte a rifacimenti non solo di "ammodernamento", ma veri e propri interventi conservativi atti a perpetrare l'immagine nel tempo. Contraffatta la stesura cromatica originale e falsato il linguaggio formale, tanto da rendere poco chiara una esatta collocazione stilistica e temporale dell'insieme, la croce, relegata ad un ruolo secondario, è stata ignorata dagli studiosi locali, anche se accompagnata dall'eco di una originaria prestigiosa esecuzione tanto da essere accostata a Giotto o al prezioso Crocifisso del sacello lauretano. Sebbene entrambi i raffronti non trovino legami con l'immagine restituitaci dal difficoltoso, quanto laborioso restauro, in quanto precedenti come datazione, il nostro Cristo può considerarsi tra le tappe più suggestive e importanti del percorso artistico marchigiano del quattrocento. Datazione questa, riferibile alla sola immagine del Redentore che trova alloggio in una struttura lignea arcaica, caratterizzata da un modulo prettamente trecentesco con le tabelle rettangolari, seppur mutile e risagomate in epoca imprecisata e con ancora il mezzo disco concavo dell'aureola. Arcaico anche il riferimento del pellicano posto al di sopra del titulus. L'ignoto artista sembra aver voluto o dovuto ricalcare l'antica iconografia del preesistente Cristo crocifisso d'impronta medioevale, un Cristo triumphans, come suggerisce non solo la postura frontale del corpo, ma la conformazione stessa dell'aureola lignea scolpita, anch'essa frontale, ma guidato da input derivati da stilemi e canoni del tutto differenti e collocabili alla seconda metà del XV secolo. L'opera rivela una grande perizia esecutiva ed una qualità materica non comune, riferibili solo ad una figura pittorica di primissimo piano che segna, in territorio marchigiano una tappa non trascurabile e che cerca oltre confine spunti per la sua arte, come rivelano certi echi di veneta memoria.

 

CURIOSITÀ

La devozione a San Filippo è arrivata presto a Treia tanto che già nell'anno 1626 tra i patroni di Montecchio figurava il santo. Fu desiderio di tutti avere anche a Treia "I preti dell' oratorio" che si stavano diffondendo nei paesi vicini. La congregazione dell’ oratorio di San Filippo Neri venne eretta nel 1631. La nuova chiesa fu edificata col consenso dell'arcivescovo di Camerino, (la cui diocesi comprendeva Treia), Cardinale Emilio Altieri, eletto papa col nome di Clemente X (1670-1676).

 

I MARTIRI

Nelle cavità degli altari laterali si conservano i corpi di quattro santi martiri, morti durante le prime persecuzioni: Aurelio, Valentino, Castoria, Venusta.

 

GLI EVANGELISTI

A spese della Congregazione furono poste nelle nicchie alle pareti otto statue che rappresentano i quattro evangelisti e i quattro maggiori dottori della chiesa latina, opere dello scultore romano Gioacchino Varlè, molto ammirate dagli esperti.

 

LE INDULGENZE

La chiesa godeva del privilegio di particolari indulgenze dal 1728 per aggregazione all’Arcibasilica lateranense.

 

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